La parola d’ordine è cambiamento. Soprattutto nella moda. I marchi che sopravviveranno ai danni generati dai quasi tre mesi di lockdown, sono quelli che avranno costruito nel frattempo un rapporto con i clienti, comunicando un’immagine di sé che va oltre il semplice prodotto. In Europa e negli Stati Uniti, secondo gli esperti, si comprerà di meno spendendo di più, scegliendo vestiti e accessori artigianali, di maggiore qualità e durata, meno legati alle mode del momento.
Le previsioni degli esperti sono fosche.
La crisi dei grandi magazzini e dei centri commerciali – più profonda – sarà insidiata dalla vendita online. Saranno colpiti i piccoli marchi e gli stilisti emergenti, mentre i colossi della moda, che hanno più risorse, ne soffriranno probabilmente meno. Il divario tra ricchi e meno ricchi, insomma, crescerà spandendosi anche nella moda.
L’imprevedibile crisi sanitaria e finanziaria ha vanificato le strategie pianificate dalle imprese per il 2020, lasciando le aziende della moda esposte, disorientate, spesso senza timone e i lavoratori in pesanti difficoltà economiche. Secondo ilpaper, “THE STATE OF FASHION 2020 – Coronavirus update” le stime – diramate dalle società di consulenza Bof e McKinsey – prevedono che il comparto della moda globale (abbigliamento e calzature) potrebbe subire una contrazione poco inferiore al 30% che diventa 40% per i beni di lusso. La speranza di tornare a crescere è appesa a un lumicino: circa l’1% nel 2021.
Polverizzate le stime di incasso per la primavera/estate 2020, anche la stagione autunno/inverno sembra destinata a deludere le aspettative. E così l’80% delle aziende quotate in Europa e negli Stati Uniti potrebbe trovarsi in una situazione di difficoltà finanziaria. Il numero dei fallimenti nel giro dei prossimi 18 mesi sembra destinato a crescere in modo significativo.
Anche per l’industria delle calzature, che in Italia rappresenta uno dei segmenti industriali fondamentali del sistema moda e conta oltre 4.300 aziende con 75.000 addetti, il quadro è delicato. Un comparto con un fatturato annuo di 14,3 miliardi di euro, per l’85% destinato alle esportazioni in grado di generare un attivo commerciale di quasi 5 miliardi di euro, è stato messo in ginocchio dalla chiusura delle attività commerciali prima in Cina, poi in Italia e progressivamente in tutti i principali mercati mondiali.
Ed è anche per questo che dinanzi all’assoluta incertezza, sono fondamentali cambiamenti radicali.
In un contesto generale caratterizzato da repentini mutamenti all’interno delle dinamiche di mercato, anche le imprese devono imparare a cambiare iniziando a promuovere l’offerta commerciale sul comparto di riferimento, attraverso la qualità dei prodotti e la forza dei propri brand.
Stile, alta qualità e flessibilità della produzione sono i tre elementi che fanno del “made in Italy” qualcosa di unico, desiderato e apprezzato nel mondo. La competitività delle aziende di fronte alla concorrenza mondiale, si gioca tutta sul terreno della valorizzazione, delle caratteristiche univoche di ogni realtà produttiva.
Si prospetta quindi un cambiamento radicale, verso una moda guidata dal valore della sostenibilità. La sola via per tornare ad avere risultati positivi passa per un taglio su misura d’azienda che sappia armonizzare: flessibilità, velocità e innovazione.